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Ricci, i pm e la politica. “Non si può criminalizzare la ricerca del consenso”. Parlano Fiandaca e Caiazza

Ricci, i pm e la politica. “Non si può criminalizzare la ricerca del consenso”. Parlano Fiandaca e Caiazza

Ansa

Secondo l'accusa, l'ex sindaco di Pesaro attraverso l'attività amministrativa avrebbe ottenuto "una utilità non patrimoniale", ovvero "un rilevante beneficio in termini di popolarità”. Il professore di Diritto penale e l'ex presidente dell'Unione camere penali spiegano le esondazioni dei pm nell'inchiesta delle Marche

Considerare l’ottenimento di consenso nell’ottica della corruzione rappresenta un’indebita forma di criminalizzazione da parte della magistratura”, dice il professore Giovanni Fiandaca. Parla dell’inchiesta che ha coinvolto il candidato dem Matteo Ricci, proprio mentre la campagna elettorale nelle Marche entra nel vivo. “Purtroppo non è la prima volta che si teorizza questa assurdità”, aggiunge Gian Domenico Caiazza, ex presidente dell’Unione camere penali. “E’ il segno dell’esondazione dei pm nel controllo della politica”.

Martedì, è stato lui stesso ad annunciarlo, Ricci è stato raggiunto da un avviso di garanzia, all’interno dell’indagine soprannominata “Affidopoli”. A suo carico un’ipotesi di concorso in corruzione per gli incarichi assegnati ad alcune associazioni locali, che hanno realizzato dei murales. Affidamenti grazie ai quali, si legge nelle carte della procura, l’allora primo cittadino di Pesaro “otteneva direttamente una utilità non patrimoniale”. Per gli inquirenti tuttavia la realizzazione di queste opere avrebbe conferito “una immagine di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa e politica del sindaco” e dunque “un rilevante beneficio in termini di popolarità e consenso”, secondo un’impostazione, che rischia di mettere sotto processo alcune delle prerogative più classiche di chi fa politica.

“L’accrescimento del consenso elettorale è un’aspettativa legittima, perché tipica del politico”, spiega al Foglio Giovanni Fiandaca, emerito di Diritto penale all’Università di Palermo. “Considerare l’ottenimento di consenso, nell’ottica della corruzione, rappresenta una indebita invasione di campo da parte dei magistrati”, che secondo il giurista, avrebbero fatto ricorso a “un’interpretazione estensiva, molto lata, che considera il consenso elettorale come utilità penalmente rilevante. Ma si tratta di un approccio minoritario e molto criticato dalla pressoché totalità degli studiosi di diritto penale, che non lo condividono né lo ritengono ammissibile. Non è mai diventato neanche criterio d’orientamento interpretativo dominante nella giurisprudenza”.

Va nella stessa direzione Gian Domenico Caiazza, avvocato penalista e già presidente dell’Unione camere penali fino al 2023. “Siamo di fronte a una forzatura interpretativa inconcepibile del concetto di profitto. E’ il segno – ribadisce – di una esondazione da parte della magistratura nel controllo dell’attività politica”, In altri termini, dice Caiazza, i pm “non stanno individuando nell’attività politica un qualsivoglia interesse di tipo economico, ma comunque ritengono che l’amministratore abbia commesso atti illeciti in quanto ha ottenuto un profitto a livello di consenso elettorale”. L’ex presidente dell’Unione camere penali non si sorprende troppo: “Perché purtroppo non è la prima volta che si teorizzano certe assurdità”. E rintraccia delle similitudini con l’altra indagine al centro del dibattito mediatico e politico in questi giorni, quella che riguarda il sindaco Beppe Sala. “Non ci sono dubbi. Dalla lettura dell’ordinanza di Milano emergono costanti giudizi morali e direi, in fondo, anche politici. Fare profitto viene considerata colpa, anche laddove si parla di imprese private e professionisti che esercitano il loro mestiere. La magistratura – aggiunge Caiazza – si dota in via interpretativa di strumenti di controllo della politica, che non le spettano”. A Milano come nelle Marche.

In quest’ultimo caso però a far sorgere altri interrogativi è stato anche il tempismo. L’avviso di garanzia a Ricci è arrivato infatti poche ore dopo rispetto all’indicazione ufficiale della data delle elezioni (28-29 settembre). Per questo, suggerisce, Fiandaca: “Bisognerebbe evitare questa vicinanza di tempi, così da evitare il sospetto che si tratti di un intervento finalizzato a incidere sulle scelte relative alla campagna elettorale”. Di Affidopoli, d’altra parte, si parlava già da tempo. “Ma puntualmente quando si sta per avvicinare una tornata elettorale, la competizione diventa una discussione giudiziaria”, sottolinea Caiazza. “Pare quasi che dobbiamo rassegnarci a queste dinamiche. Ormai – conclude l’avvocato – non c’è verso di fare una campagna elettorale che non veda protagonista questa o quella procura”.

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